venerdì 5 gennaio 2024

Ritorno al futuro, in direzione ostinata e contraria

Di nuovo al blog personale, dopo tanto

Ritorno a usare questo blog, dopo tanto tempo, perché ci sta, e anche perché chissà forse è un modo – riprendersi gli spazi, usarli, insistere a cercare la comunicazione che da qualche parte forse può passare – per invertire quel “trend” nefasto per cui miliardi di piccoli comportamenti quotidiani regressivi stanno portando probabilmente il pianeta alla catastrofe (e lo scrivo da inguaribile, ostinato ottimista, che però cerca di usare quel poco di intelligenza che ancora gli rimane, invece di spenderla come si usa oggi a descrivere le meraviglie di una intelligenza artificiale che comunque intelligente non è, perché banalmente non ha coscienza di quello che fa!)

The Children's Virtual Museum of Smal Animals


Non riesco a non citare l’esempio incredibile freschissimo di una donna famosa che, nell’annunciare al mondo di essere mamma, pubblica una foto in cui nasconde la faccia della bambina! Ricordo che le leggi sulla riservatezza erano in origine per evitare che io pubblicassi la foto di tuo figlio senza dirtelo, ma sembra che oggi io stesso trovi automatico e normale censurare le foto del mio bambino/a, perché se l’immagine di un neonato è visibile in rete, chissà cosa gli potrebbe succedere! Ma siamo pazzi? Siamo una società che ha paura dei sorrisi dei bambini (tranne quelli della pubblicità!) e ha eletto il pensiero morboso a pensiero dominante, così come sponsorizza di fatto il bullismo nelle scuole, che ormai è la prima preoccupazione di tanti bambini nel passaggio dalla scuola primaria alla secondaria. Cioè, un problema che avrebbe una dimensione contenuta, a forza di “combatterlo” diventa dominante, centrale nel pensiero e nella vita delle persone e delle società. Come quando negli anni 80 l’occidente organizzò le prime “missioni di pace“ in Somalia perché c’era il “pericolo” dell’integralismo islamico. Per quel poco che vale, in quegli anni poche donne musulmane portavano il velo, le studentesse afgane giravano in minigonna, e dopo il nostro sollecito intervento, nel giro di pochi decenni, sappiamo come sono andate le cose. Potremmo chiedere all’intelligenza artificiale di spiegarci perché, per “difendere” alcuni dei nostri figli da un eventuale pericolo estremamente remoto, stiamo crescendo una intera generazione nella paura. Che, sappiamo, è la madre di ogni violenza.

Siamo noi i responsabili, tutti insieme, del disastro presente

Miliardi di post e interazioni sulle diverse piattaforme sociali - da utenti passivi di televisione che credono si tratti sempre e solo di consumare prodotti altrui, non ce ne rendiamo conto – in realtà giorno per giorno cambiano il mondo, e non certo per il meglio. Se non fossimo tutti a contemplare in modo narcisistico (e masochista?) la nostra immagine spavalda o spaventata nello specchio, magari ce ne renderemmo conto, vedremmo come, per inseguire “tendenze” che si affermano nei pollai online frequentati da una maggioranza di analfabeti, si è nel tempo degradata anche la comunicazione audiovisiva professionale, stravolgendo l’idea stessa di informazione.

E il bello è che tutti crediamo che le cose le decidano i “giganti del web”, e che noi non contiamo niente. Come quando Google (probabilmente il gigante dei giganti, tra il motore di ricerca quasi in monopolio, YouTube e l’80% dei telefonini Android) cercò a un a un certo punto di farci lasciare Facebook e Twitter per il suo Google +. Chi se lo ricorda?

The Children's Virtual Museum of Smal Animals
Siamo noi che decidiamo, non come singoli ovviamente, ma come il più potente super organismo che si sia mai visto sulla faccia di questa terra (altro che le api!). Nessuno di noi conta singolarmente (gli influencer un po’ di più, ma neanche tanto!), e però mettendo insieme miliardi di minchiate interconnesse in tempo reale attraverso tutto il pianeta, esercitiamo letteralmente a casaccio il più grosso potere mai visto nella storia. E dato che nemmeno immaginiamo di farlo, devolviamo di fatto quel potere a una politica che il disinteresse di noi cittadini consegna ogni giorno di più alla finanza e al mercato, e a imperi del web che noi stessi costruiamo e facciamo grandi con i nostri clic. Altro che le psicopatologie di massa degli anni 30 e 40 del secolo scorso! Non so se la singola ape sappia che fa parte di un super organismo. Ma se ognuno di noi si rendesse contro del fatto banalissimo che tutte le volte che “postiamo” un frase o un’immagine produciamo informazione, il mondo già domani sarebbe un posto migliore!

Le risposte dei bambini

Oggi, i bambini di cui si “protegge” l’immagine sono sistematicamente nascosti alla coscienza sociale, di loro si raccontano sciocchezze inimmaginabili a cui credono tutti, come la fanfaluca dei nativi digitali, e così li si consegna al bullismo, al disagio giovanile, al deficit d’attenzione e in definitiva agli psicologi.

Ma di fronte a una società che non vuole crescere né progredire, devastata dalle ideologie novecentesche della velocità e della competizione, per cui tutti corriamo come matti senza sapere dove andiamo, i bambini, quando li metti nelle condizioni di giocare insieme in un contesto diciamo protetto, cioè oltre gli stereotipi del consumo e delle relazioni sociali difficili, con adulti garanti delle regole e disposti ad ascoltarli, sono loro che ti insegnano, e che forse ti possono indicare una possibile via di salvezza, perché hanno ancora qualcosa che a una certa età spesso si perde: la voglia, la gioia, la curiosità di vivere.

Lavorare con loro negli anni 1980 era una fantastica scuola di vita, e lo è anche oggi oggi, perché i bambini non cambiano. Scriveva Walter Benjiamin nel 1928: “I bambini stanno in scena e istruiscono e educano gli attenti educatori!”. E Gesù Cristo: “Se non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.

The Children's Virtual Museum of Smal Animals
Io ho cercato di parlare di quello che mi davano bambini, di scriverlo citando quello che vedevo e anche le loro esatte parole, in libri sull’animazione teatrale, sui bambini e l’ambiente… Boh? Facevo video che sapevo diversi, li proponevo ai media educator e anche ai professionisti, che per lo più sentenziavano con la frase standard, sempre uguale: Belli, ma non adatti alla TV!” Salvo poi magari dopo 10 anni dirti: “Sai, ho rivisto quella cosa, era nuova e interessante!” Mentre in Italia nella RAI l’interesse per i bambini a poco a poco svaniva completamente

Adesso, per mettere insieme e pubblicare qualcosa come un pensiero un po’ allargato sulla società presente (non solo guardare il mondo da un oblò, come sembra abbiano scelto di fare molti anche illustri intellettuali nostrani ) e lo spreco pazzesco di tecnologia, con l’esortazione però a darci una mossa, ho dovuto puntare su una una casa editrice americana, che si rivolge al mercato accademico (ahi, i prezzi!) e comunque mi ha accettato l’argomento e poi ha sottoposto lo scritto a una revisione credo non banale. Boh, non so se sia davvero il segno credibile che non sto delirando per conto mio… comunque il libro sta uscendo adesso.

Farsi il sito web offline

La ragione per cui pubblico questo articolo nel blog “Tools Strumenti” è perché – dopo anni in cui il mio indirizzo web in realtà dirottava su siti gratuiti on line, in cui uno può anche sbizzarrirsi a partire da modelli interessanti e d’effetto, ma che alla fine ti limitano entro schemi più o meno rigidi e comunque non tuoi, e a cui collegare un dominio costa non poco - sono tornato finalmente a realizzare il mio sito web con un software sempre facile e grafico (non maneggio l’HTML) ma che, mentre lo usi, impari come si fa! Che è poi quella cosa per cui negli anni 80 e 90 del secolo scorso gran parte delle novità tecnologiche non arrivano dal mercato delle grandi aziende (che fornivano essenzialmente l’hardware), ma dall’iniziativa libera e collaborativa (non sempre volontaria, qualcosa si rubavano l’un l’altro! 😸) di tanti appassionati che, oltre a scaricare app, dettavano comunque, con le loro soluzioni software, anche alla stessa industria strade verso il futuro non ispirate al Grande Fratello, a Star Trek, agli Avengers o ai cartoni animati dei Pronipoti, che invece – in mancanza nei decenni di una alfabetizzazione digitale minima della massa dei consumatori - sono tornati ad essere il riferimento culturale degli anni 2020, così come dei 1960!

The Children's Virtual Museum of Smal Animals

Ad ogni modo, per storie mie e anche per una questione di costi, in passato, dopo tante prove ed esperimenti, avevo realizzato i mie siti web off line usando il software Web Plus, della Serif di Nottingham (of course!). Causa i miei limiti tecnici come webmaster e come grafico, non avevo fatto grandi cose, ma cercavo comunque di mettere insieme pagine navigabili, avendo in mente le cose che volevo comunicare, piuttosto che criteri astratti da seguire per “fare un sito web”, frase completamente priva di senso, dato che in un sito web ci può stare ogni espressione possibile dell’esperienza, comunicazione, azione e pensiero umani, e quindi solo pensare che esista una regola “generale” da seguire è una bestialità. Oggi, la maggioranza usa un software online che sarà anche un cavallo di razza, ma – a parte che pensato originalmente per i blog magari potrebbe non essere il più adatto per organizzare, che so, una esposizione universale! - diciamo che è piuttosto difficile da domare, per cui alla fine moltissimi siti web si assomigliano in modo imbarazzante.

La prima regola della comunicazione – che segna il successo o meno degli spot pubblicitari – è la capacità di distinguersi, in modo che mentre mi legge o mi guarda, il lettore, osservatore, cliente non pensi a qualcun altro. E prima che seguire webinar raffinati sulle regole del SEO, per catturare i visitatori unici che passano di lì, chi vuole farsi notare sul web immagino dovrebbe – ditemelo, se sbaglio! - avere pagine che alla prima occhiata non si confondano con quelle degli altri.

Dopo di che, gli esperti di comunicazione on line ti spiegano anche che su una pagina web i navigatori si fermano, quando va bene, pochi minuti. Cioè, gli stessi che poi perdono ore sui social network e che qualcuno crede che un domani si caleranno con entusiasmo negli ambienti immersivi del metaverso? Ma ci pensiamo al significato di quello che ci diciamo e scriviamo?


Se sui siti web la gente non si ferma, significa che così come li stiamo facendo non funzionano. Punto! E siamo condizionati da una cultura televisiva passiva, da modelli di consumo fine a se stesso, che ci impedisce per esempio di capire che lo sviluppo del Web non è determinato da ciò che vediamo o scarichiamo, ma da ciò, globalmente, che ci mettiamo. Ma forse è un ragionamento difficile per per chi dà per scontato che il potere della rete debba ridursi a supermercato, intrattenimento, o concentrato di burocrazia! E poi ci meravigliamo perché facciamo le guerre!
The Children's Virtual Museum of Smal Animals

A un certo punto a Nottingham comunque hanno smesso di sviluppare quel software, e poi il web builder non è stato più incluso nella nuova serie di applicazioni. Non potendo continuare a lavorare sul programma vecchio che ancora basava le gallerie su Flash ho cercato parecchio se c’era qualche applicazione on line versatile, e che non obbligasse ad abbonamenti costosi. Né l’uno nell’altro! Per cui torno a scegliere l’offline, soluzione che non è più complicata e alla fine ti restituisce anche il controllo su quello che fai. Provate cose forse ottime ma con cui davvero non c’era intesa, alla fine ho scelto WYSIWYG Web Builder, il cui aggiornamento di questi giorni mi propone ora di passare alla nuova versione integrata con l’intelligenza artificiale.

Quello che mi interessa è potere, all’occorrenza, agire su ogni elemento, i testi, le immagini, la navigazione (non come quando si ti dicono, saccenti: si può fare tutto, ma questa immagine più piccola no, quell’altra spostarla, nemmeno!). Anche se in questo caso, partito comunque da un “template” modificato, mi accorgo, nel riguardare, che il menu laterale a comparsa sulla destra, su uno schermo piccolo non scorre. Vado a vedere, provo altri parametri. Ora va bene, mi piace!

Come con un’automobile, un vestito, uno strumento musicale, credo che un software vada scelto non perché lo usano tutti, ma perché si incontra con il nostro gusto e ci permette di realizzare le nostre intenzionianche che, dopo tanta navigazione in rete, tutti noi dovremmo possedere almeno quella base di cultura latente su come funziona un sito web che, se anche non abbiamo il tempo di imparare a farci le pagine da soli, possiamo con un web master avere un rapporto di collaborazione, in modo da non delegare sempre a qualcun altro non solo la parte tecnica, ma anche la gestione delle nostri intenzioni e, in questa come in altre cose, sempre adeguarci.

Poi certi mostri in rete li vediamo tutti, ma qui si entra in un altro discorso…


domenica 11 luglio 2021

Volevo vivere e l’ho scritto su Facebook

Pubblico di questi tempi su YouTube – effetto collaterale della pandemia? - videoclip di canzoni fatte in casa, e poi in questo blog racconto come ho fatto. Perché, a parte ogni altra considerazione sulla mia personale imperizia vocale e strumentale (questo in italiano si chiama eufemismo!) , una delle cose fino a pochi anni fa impossibili per i comuni mortali e che oggi si possono fare è proprio per esempio registrarsi e diffondersi da soli videoclip, con voce, musica, missaggio, riprese video, montaggio e pubblicazione in rete, utilizzando mezzi anche assolutamente amatoriali ma che, se uno ci sa un po’ fare e si applica, consentono risultati di tutto rispetto.

Questo fatto che tutti siamo diventati produttori di informazionenon solo di “spiegoni” e “tutorial” con il telefonino, ma anche cose un po’ più elaborate, che possono fare concorrenza ai media “con i mezzi” - è una cosa di cui pochi sono veramente consapevoli. Per ottenere risultati davvero notevoli dovremmo però imparare a lavorare insieme, elaborare collettivamente “software” per ottimizzare le interazioni produttive anche occasionali tra umani. Ma questo è un altro discorso.

Volevo vivere e l’ho scritto su Facebook è un’idea ovviamente abbastanza ironica, pensando a quelli che non solo usano i social network, ma che e ci passano un sacco di tempo e sembra che abbiano progressivamente trasferito lì gran parte delle loro relazioni con gli altri umani, espressioni, affetti, perfino l’impegno sociale e politico. E anche questo è un problema del nostro tempo! Poi, ovviamente, sui social network ci sto anch’io e li uso anche per far conoscere le mie canzoni e questi articoli. Non è questione di cercare o additare in altri contraddizioni o coerenza, ma semplicemente di misura.

A differenza delle altre due canzoni precedenti che erano nate strimpellando uno strumento – Social Pandemia la tastiera e La Televisione basta! la chitarra, questa volta l’idea si è sviluppata con quella frase che mi rimbalzava nella testa e cercava un ritmo, una melodia. Sono andato a cercare un tempo di batteria sulla tastiera e ho deciso che l’avrei usato. In passato, tanti anni fa, avevo fatto qualche prova con i sequencer al computer e perfino con il MIDI, ma ultimamente, anche nel mio revival musicale senile, finora avevo sempre cercato di suonare gli strumenti. Poi, nelle due canzoni in cui è intervenuto il mio amico Piero Giambruno, oltre che la sua bravura di musicista, lui qualche aiuto elettronico ce l’ha messo. Per me invece diciamo che è la prima volta che inserisco in questa ultima serie di pezzi musicali suoni generati da una macchina.

Su quel tempo di batteria, ho messo tre accordi con la chitarra pizzicata, fatto prove di registrazione con il telefonino e mi è sembrato che venisse bene, piacevole all’ascolto. Poi, dopo aver composto testo e musica (ovviamente a orecchio!) e aver definito le strofe, sono andato a registrare direttamente nelle memorie della tastiera la base di batteria, inserendo tra le diverse frasi musicali i passaggi che la tastiera stessa mi consente (quando ogni tanto nel video si vede un dito che schiaccia un tasto, è quello che sto facendo). Con la batteria pronta in cuffia, ho quindi registratore la chitarra con il portatile Tascam che si vede pure nel video e sono andato su un programma di montaggio sonoro a sovrapporre manualmente le due tracce. So che non è il modo migliore di fare, ma questa volta ho voluto provare così, anche perché tra il software (versione gratuita di Studio One) e la nuova scheda audio esterna Behringer U-Phoria UMC22 avevo qualche problema (cioè, non è che loro non vanno, sono io che li usavo per la prima volta) a entrare direttamente con strumenti e voce. Anche la voce è registrata con il Tascam, in questo caso però con l’aggiunta aggiunta di un microfono esterno.

Durante la registrazione di chitarra e voce, mi sono auto ripreso con due videocamere fisse, in modo da poter sincronizzare suono e video nel miglior modo possibile. Lo stesso quando ho suonato l’organo di accompagnamento e quello introduttivo e finale, che ha chiamato Piero a una conclusione rock in cui riprende le mie quattro timide note e ne fa musica vera! In realtà lui nel file mixato che mi aveva mandato aveva tolto l'organo e partiva direttamente con la chitarra e io invece ce l'ho rimesso: piccoli miracoli possibili oggi a chiunque con il copia incolla e la sovrapposizione delle tracce grafiche del sonoro, con software anche gratuiti, dove ieri occorrevano apparecchiature sofisticate e costose negli studi di registrazione.

Video in sincrono mentre canto e suono (manualmente, facendo coincidere i grafici delle onde sonore al fotogramma, utile per acquisire disinvoltura nel montaggio!), e poi qualche immagine di Piero “a senso” (cioè, in realtà lui sta suonando altro) e di me che litigo o mi diverto con il software audio e video.

 

Come “storia” dentro il videoclip, dato che proprio mentre lavoravo alla canzone si era fermato un gregge di pecore vicino a casa e mi ci ero ritrovato in mezzo a filmare con videocamera e telefonino, ho pensato che fossero immagini che si sarebbero incontrate bene con l’argomento!

Ultima nota, direi importante. Per la prima volta, ho montato un intero video usando il software Da Vinci Resolve, in versione gratuita. Non è facilissimo “dominarlo” (è un programma di montaggio e post produzione che fa quasi tutto, si usa a Hollywood e qualche cosa che alla gente comune non serve certo ce l’ha, il manuale completo sono 3000 pagine in inglese!), ma è davvero un altro mondo, un mondo vero, rispetto a quelle cose patetiche, automatiche, autoritarie e alla fine frustranti con cui – per “facilitare” la vita – i cittadini della società dell’informazione sono quotidianamente sollecitati a permanere nel loro analfabetismo digitale e tecnologico, tanto ci sono le “app” che decidono e fanno per loro! Se è vero ovviamente che non tutti dobbiamo diventare Steven Spielber, il linguaggio audiovisivo è il principale alfabeto attraverso cui si comunica nel pianeta e sottovalutare l’importanza di un suo uso attivo e consapevole da parte di tutti - così come altre pratiche diffuse e dissennate di interpretazione della “tecnologia” tra la burocrazia inappellabile e il puro consumo - espone le nostre democrazie a rischi di non partecipazione e involuzione autoritaria, di cui tutti ormai vediamo qualcosa di più che pericolose avvisaglie.

Per introdurre a Da Vinci, all’inizio di quel ponderoso manuale c’è un “getting started” che in poche pagine, a mio parere, spalanca panorami su un un mondo, e vale la pena di percorrerlo con attenzione. Ci aiuta a capire che è possibile (e bello) vivere non soltanto su Fabebook!

giovedì 8 aprile 2021

La televisione, basta!

È il titolo della seconda canzone che scrivo e pubblico in questi tempi difficili, dopo Social Pandemia. E qualcuno potrebbe annotare questa mia attività musicale tra gli effetti collaterali del periodo, in cui attorno all’emergenza sanitaria sono successe tante cose, belle e meno belle, e si sono svelati lati sconosciuti di persone che conoscevamo in un certo modo, con cui i rapporti si sono approfonditi o viceversa hanno incontrato punti di rottura pesanti e inaspettati.

Primo “urlo”, prima strofa della canzone: la televisione, basta!

Non si può passare le giornate a guardare in TV personaggi che continuamente si parlano addosso, a volte senza ascoltare che cosa dicono, di virus, morti, contagi, paura. Chiaro che poi, oltre al dolore per le persone che a causa di questo male se ne sono andate davvero (a molti sono mancati parenti, amici, a me sono mancati), oltre alle precauzioni che da un anno dobbiamo prendere uscendo di casa (mascherine, distanziamento, lavaggio e disinfezione delle mani) con quel ritornello nelle orecchie rischia di crescere un’angoscia devastante.

Ma anche è insopportabile, ancora di più, di fronte alle difficoltà, gli errori, le incertezze e i timori, trovare in rete quei personaggi saccenti, arroganti, innamorati delle proprie convinzioni oltre i confini di ciò che è umano, che gridano in faccia agli altri che non è vero niente, che siamo tutti dei pecoroni, e danno lezioni al mondo dal loro pulpito di vuoto narcisismo. E intuisci cosa può succedere quando il pensiero, la parola, l’affermazione di verità sempre più inconfutabili si ergono assoluti al di sopra delle persone. Capisci il percorso mentale che può portare al nazismo, ai genocidi.

Secondo “urlo”, seconda strofa della canzone: social network, basta!


Dal punto di vista della
composizione, prendo in mano la chitarra e mi esce un accenno di arpeggio su un unico interminabile accordo, a cui si appoggiano i primi lunghi sei versi di ogni strofa, un quasi recitativo tutto sommato adeguato al poco che possono esprimere con la mia voce, quasi rispettoso delle orecchie di eventuali ascoltatori. Cambio, finalmente dal DO al FA, frase interlocutoria che prepara a quella conclusiva, e di nuovo accordo di DO. Una volta per la prima strofa, due per la seconda. Mi piace.

Poi, la musica dovrebbe aprirsi. Viene, semplicissimo ma ci sta e funziona, arpeggiare ora con un po’ più di convinzione su tre accordi che si ripetono, ad libitum, su cui andrà sviluppata una melodia strumentale, possibilmente di chitarra elettrica, mentre l’accompagnamento attorno si rafforza e ingloba l’arpeggio. E poi ci dovrebbe essere la seconda parte della canzone.


Mando questo primo abbozzo, registrato con il telefonino, al mio amico Piero, che è un musicista vero e mi dice: «Questa è bella!» Poi riempie” la prima parte con una base elettronica e mi manda i primi assoli di chitarra solista. Scambi vari di musiche, video e idee, tentativi di inserire la seconda parte della canzone, prove mie di canto (improponibili), recitativo, con la chitarra sullo sfondo, e alla fine ci rinuncio: non ci sarà una seconda parte! Chiedo a Piero di togliere gli “uccellini” che a un certo punto aveva aggiunto al suo assolo, perché ho deciso di rendere per immagini quello che doveva essere il testo della seconda parte e metterò l’airone sul tetto, la folaga che sbadiglia, non voglio gli uccellini! Problema di computer che danno i numeri, tracce che si perdono, assolo rifatto, troppo cupo, troppo alto: abbassa quella chitarra! Alla fine, il risultato è quello che si sente nel videoclip pubblicato.

A parte che la qualità della prima registrazione audio con il telefonino era inopinatamente buona (e per chi negli anni si è procurato, accuratamente selezionandole, attrezzature audio video sofisticate e costose la situazione è alquanto beffarda, e uno un po’ si incazza anche!), c’era la voce troppo bassa rispetto alla chitarra, le incertezze da prima esecuzione, e poi soprattutto mi serviva qualcosa da sincronizzare con il video, che in questo caso ho realizzato con 5 macchine da presa (due videocamere quasi “serie”, una meno seria ma comunque HD, una GoPro e uno smartphone). Ovviamente, quando sei lì che fai tutto da solo, anche se cerchi le soluzioni più semplici, accendere nell’ordine le luci, i dispositivi video, il registratore, qualcosa sempre sbagli, una nota, un’inquadratura, la pronuncia di una parola, e non è che puoi rifare 20 volte. Alla fine, la “s” di “social network” sibila paurosamente e riesco perfino– anche se chi ascolta probabilmente non se ne accorge – a pronunciare la parola “miliardi” con una improbabile erre moscia che mai mi era venuta così in tutta la mia vita!



Per la registrazione audio, visto che ce l’ho, è comodo da montare su un treppiede all’altezza giusta tra voce e chitarra, si può regolare nel volume e tutte quelle cose lì, uso un
registratore digitale compatto che, costando anche meno di un telefonino, garantisce una gestione del sonoro molto più flessibile. Se servisse, potrei combinare il microfono stereo incorporato con due microfoni professionali esterni, sovrapporre e combinare tracce: decisamente un bell’aggeggio!

Per i videoclip uso immagini che ho. Parto dai gattini protagonisti dei social network, i miei e altri filmati in giro, espressivi, per concludere con gatto Nocciolino che gioca con il tablet. Poi uccelli: upupe che zampettano nel giardino sotto casa, lo smergo femmina e l’airone cenerino di scorcio nel loro naturale ambiente palustre. Ma l’airone sta anche in bella posa sulla casa del camino di fronte, un giorno si era posato lì, l’ho filmato, mentre nel finale è a caccia nel laghetto, e anche la folaga immerge il becco e pesca e scarta un rametto nell’acqua… Accostate in un certo modo queste immagini evocano forse qualcosa, oltre la TV e i social network, cioè natura, realtà, vita che ha una sua bellezza e soprattutto un suo senso oltre le trasmissioni video, le connessioni, il nostro volerci sempre mettere in primo piano al centro della scena, in quanto umani o meglio immagini di umani, talmente ansios

i di riempire tutto da perdere significato (perché sono immagini tutto sommato vuote) Ci sono anche insetti che mangiano, cercano in volo tra i fiori, o si svelano per brevi attimi in forme, colori, gesti e movenze affascinanti. E in mezzo gli aerei Canadair filmati un giorno che pescavano l’acqua del lago di Garda per spegnere un incendio sulla montagna vicina. Mi è piaciuto metterli, non so quanto ci stiano tra uccelli e insetti, ma credo di sì, fanno qualcosa di simile..

Quanto siano significative o meno queste immagini, insieme con la musica, è un fatto soggettivo, ma nel montare tutto insieme mi è sembrato che qualcosa riuscissero a trasmetterlo. Lo spiegavo a Piero, mentre lui metteva insieme tutto il missaggio sonoro, che non intendevo la musica da sola, che il video era parte integrante del discorso da trasmettere: “Mandami te che suoni!” e il punto di vista dal centro della chitarra è molto bello, oltre le aspettative. Qualcosa anche di noi, tra lunghi “titoli di coda” esplicativi. Penso a quei videoclip in cui si vede in fondo solo gente che balla e questo è decisamente mio! 😁

Ci vado davvero poco ultimamente
nelle reti sociali (basta!), ma il videoclip sui YouTube, questo articolo qui nel blog, i link per le cerchie di amici. Non da ossessivo compulsivo, spero. Cercando di trovare qualcosa da dire, possibilmente non banale , entro un panorama più aperto, la musica, il mondo naturale, la possibilità chissà di inventare e costruire insieme, un pezzettino per volta, per un mondo più sincero e più vero.