giovedì 19 maggio 2016

Come si tira fuori la GoPro dalla scatola?

In questi tempi di tecnologia di massa, uno dei problemi principali è che spesso non si sa chi sa che cosa. I mezzi sono sempre più facili da “usare” (cioè, hanno mille funzioni e uno magari ne impara tre, ma se possiede l'ultimo modello si sente un drago della tecnologia) e ciò che è intuitivo per alcuni a volte è incomprensibile per altri. Nel complesso, subiamo la tecnologia più guidarla, e se no non vivremmo in un mondo in cui è necessario bruciare le novità nel giro di sei mesi per dare ad intendere a un pubblico composto in gran parte di semi analfabeti che si stanno apportando chissà quali innovazioni.

Mi ricordo, a proposito agli albori della cultura digitale, il mitico manuale di un software per il mio glorioso home computer. Nel menu delle applicazioni di una specie di office, c'era un comando: «Manda i file allo spooler». E la domanda sorgeva spontanea: “Che cosa è lo spooler?” Allora andavo a vedere nelle istruzioni, dove ti spiegavano così, più o meno: “Se si fa clic sul comando “manda un file allo spooler, il file viene inviato allo spooler”. Fantastico!

I manuali seguono spesso logiche loro insondabili, e sono prodighi di frasi come: "Inserire le batterie in modo che i poli coincidano con quelli indicati sul telecomando!" 
Poi succede però che, a chi si compra quel concentrato di tecnologia che sono le action cam GoPro, tutto venga detto delle operazioni preliminari, tranne come staccarle dal piedistallo! Sono lì belle, minuscole e per questo probabilmente un po' fragili nella loro elegante confezione – espositore.
Citazione, da quella fantastica piazza virtuale di muta collaborazione che può essere il web:

“Ho preso la gopo hero 3 silver, e non riesco a staccarla dalla sua base quadrata? Non ci sono istruzioni a riguardo e non vorrei romperla! Grazie in anticipo!!!”
“Ahahahahaha, non sai i problemi che avuto io per aprire il case :D
Comunque ha un attacco a molletta. Devi premere forte le due alette che stanno dietro senza avere paura di romperle. Quando le avrai premute spingi tutta la videocamera in avanti facendola scivolare sulla base, ed il gioco sarà fatto”!

Poi, si tratta anche di capire il significato della parola “accendere” che, così nel manuale come nelle molteplici recensioni della GoPro 4 Session, cubo piccolissimo e molto bello (non sarà la migliore della famiglia come prestazioni, ma in quanto a estetica è l'unica che non sembra una specie di Frankenstein!), dai comandi ridotti all'osso, viene riferita solo al tasto grande, l'unico immediatamente visibile, più o meno in questi termini: «Schiacciandolo si accende, fa tre bip e comincia a registrare; schiacciandolo di nuovo smette di registrare a automaticamente si spegne».

E per le regolazioni, i “menu” richiamabili dall'altro tastino minuscolo sul retro? Bisogna forse schiacciarlo veloci come un lampo durante i tre bip iniziali, o ancora più svelti alla fine di una ripresa, così che si ricordi le impostazioni la prossima volta che la “accendiamo”? Cosa da crisi di nervi! O che forse, quando ti scrivono: “premi il pulsante info-wireless", si intende che lo si può fare a macchina “spenta”?
Magari non sarebbe inutile informare più chiaramente che anche schiacciando il tastino piccolo la GoPro Session si accende, mostrando le possibili impostazioni che poi si selezionano col tasto grande, e consentendo anche di attivare il wifi con cui può essere meglio comandata usando la relativa app, dai telefonini Android, Apple o Windows.
A questo punto, sullo app dello smartphone troviamo anche un tasto “spegni”. Ma anche dopo lo spegnimento il wifi vive e lampeggia, in attesa di un eventuale comando “riaccendi”. Lui continuerebbe così all'infinito, se non si va ancora a pigiare il tastino piccolo, fino a che non compare la scritta in inglese “spegni il wifi”, Clic allora sul tasto grande, e la GoPro Session si acquieta del tutto.
Anche a questo, uno ci deve arrivare per intuizione, oppure andare alla sezione “risoluzioni di problemi: “Come spengo la videocamera?”

venerdì 1 aprile 2016

C'è una app per tutto? Ma anche no, per carità!

Ci sono applicazioni che servono per fare le cose. Una volta le chiamavamo “programmi” o “software”. Servono per scrivere questo articolo, per elaborare una foto, per fare musica, per collegarsi alla rete come utente o per organizzare il proprio sito web o il blog. Vanno installate sul computer, telefonino, tablet, oppure sono utilizzabili direttamente on line. Cosa sia meglio, dipende dalle circostanze, dai gusti, dalle abitudini di ognuno.
Io per esempio, per scrivere cose come questo articolo preferisco in genere lavorare off line con un programma di testi installato nel computer e poi incollare quello che ho scritto nella maschera del blog, che si basa invece se un software residente in rete. A volte mi capita di avere idee mentre sono in giro, e allora incomincio a scrivere direttamente dallo smartphone, depositando il contenuto in rete in uno spazio mio nel cosiddetto cloud, che è sincronizzato con tutti i dispositivi che uso. Di modo che poi possono continuare il lavoro con il tablet, il pc portatile, o anche il tower di casa. Ci sono programmi per cui adopero solo il pc grande, per esempio per montare i video, utilizzando due monitor. Mentre il software per accordare la chitarra è decisamente più comodo sul telefonino!
Ci sono però app che non sono programmi veri e propri, ma più propriamente “scorciatoie” verso pagine web, che in maniera più agile e rapida mi collegano direttamente alla banca, al provider telefonico, all'agenzia di viaggi, e così via. Se sono servizi che uso spesso, conviene installarle. Convengono anche per esempio quelle che da una sola schermata di partenza consentono di accedere a gran quantità di giornali, TV, radio.
Ma se un servizio lo utilizzo solo una volta ogni tanto, oppure se il link alla pagina di Wikipedia mi viene dato in tempo reale da un motore di ricerca, eventualmente combinato con un “assistente personale”, il tutto con la rapidità del wi-fi o del 4G, è molto più comodo e agevole usare un solo browser, eventualmente con la sua bella lista di “preferiti”, che non una quantità spropositata di app, che mi intasano inutilmente la memoria del telefonino.

E invece, siamo alle solite. Nel momento in cui si introducono le innovazioni, a decine, a centinaia, ogni “innovatore” che ci si propone si comporta come se ci fosse solo lui. Tutti, per “facilitarci la vita”, ci impongono un nome utente e una password, e adesso anche ci vincolano ad una apposita app, naturalmente da scaricare e installare. Decine, centinaia di app, che ci consentono di fare cose prima impossibili come, per esempio, ordinare una pizza!

Ognuno ovviamente col suo telefonino e tablet ci fa quello che vuole ma, tra gli effetti collaterali di questa inflazione di app monouso e monodose, a prova di analfabeti, c'è proprio una caduta tendenziale del tasso di alfabetizzazione necessaria per poter utilizzare gli aggeggi digitali che, se da un lato permette a tutti, proprio a tutti, di usarli (democrazia?), dall'altro abbassa il livello di consapevolezza collettiva di quelli che in fondo sono soltanto i linguaggi su cui si basa la società dell'informazione, che ormai tutti parlano, che pochi sanno leggere e sempre meno, in percentuale, sanno e sapranno scrivere.
Così, non solo i computer, che sono le macchine con cui si fa la società dell'informazione, ormai appaiono nell'immaginario collettivo come dispositivi obsoleti e in via di estinzione, perché su facebook si va più comodamente con un tablet (!), ma la stessa rete telematica planetaria viene sempre più frequentata da gente che forse nemmeno lo sa di essere in rete, che vi accede come a un supermercato globale che offre servizi ai suoi clienti, senza più neanche l'idea che ci sono rotte attraverso cui si può navigare, link che magari potremmo organizzarci noi, perché ogni indirizzo e ogni funzione vengono raggiunti direttamente attraverso un apposita app.
È la morte del web, la rinuncia alla cittadinanza attiva digitale, la “comodità” che alla lunga uccide la consapevolezza del mondo, virtuale o reale che sia, in cui viviamo.
Fino a ieri si diceva: vai a vedere il nostro sito.Troppo difficile! Ora si dice direttamente: scarica la app! E il processo di de responsabilizzazione è completo!

Forse non è una caso se in anni recenti, alla sempre più planetaria e capillare diffusione di “tecnologia”, non si può certo dire corrisponda un aumento dei livelli di partecipazione democratica, dialogo, conoscenza reciproca e collaborazione tra gli umani. Ma si tratta di due discorsi che forse non hanno alcuna relazione tra di loro, anzi, sicuramente richiedono due app differenti!